Ghost kitchen e Cloud Kitchen, il business insostenibile! Se anche REEF licenzia perchè investirci?

La statunitense REEF TECHNOLOGY, gigante con circa 320 cucine disseminate per tutto il paese con un piano di sviluppo di ulteriori 800 nel breve periodo, incluso il Regno Unito, e citata ad esempio nel settore del #Fooddelivery quale realtà trainante della nuova industria ibrida metà digitale e metà fisica, proprio come gli Dei dell’Olimpo cui questa descrizione attiene, mostra le prime crepe di un modello di business che sembrava monolitico. E vincente.

Nata con il nome di ParkJockey nel 2013, con sede a Miami, ha iniziato la sua attività fornendo hardware, software e servizi di gestione per i parcheggi. Ha in seguito utilizzato proprio gli spazi di cui disponeva, i parcheggi nella fattispecie, specializzandosi nello sviluppo di #cloudkitchen o #ghostkitchen realizzate all’interno di truck o container, chiamati anche Pod.

Partner per la distribuzione e la logistica di REEF sono le maggiori piattaforme di food delivery al mondo, quali Doordash e UberEats,

Questo modello ha consentito a Reef di crescere rapidamente, ma ha anche portato a problemi legati alle autorizzazioni e normative sanitarie.

Nell’autunno 2021, Reef ha sospeso l’attività a New York City, Detroit, Houston e Philadelphia, a causa di problemi nella continuità delle operation per la sicurezza e la qualità di conservazione degli alimenti.

(https://www.nrn.com/delivery-takeout-solutions/how-fix-ghost-kitchens-growing-pains)

(https://www.nrn.com/technology/reef-technology-working-city-authorities-fix-its-permitting-problems)

REEF, per lo sviluppo dei modelli legati al mondo del #fooddelivery ha raccolto un totale di $ 1,5 miliardi di finanziamenti in 3 round, con l’ultimo finanziamento datato 3 novembre 2020 con un round di private equity.

Tra i soci troviamo:

  • Mubadala
  • Capital Ventures
  • Target Global
  • Oaktree Capital Management
  • UBS Asset Management
  • SoftBank.
Ma una crescita così repentina, sospinta dalla situazione legata alla #pandemia #covid avrà permesso all’azienda di strutturarsi in maniera tale da garantire una sostenibilità al suo sviluppo?

Come abbiamo letto le prime crepe si sono manifestate in alcune grandi città americane, New York su tutte, dove lo stesso governo cittadino ha imposto lo stop alle attività per problemi legati alla qualità della conservazione del cibo.

Sono in grado, società prive di expertise nella gestione del ”food” e che hanno approcciato la ristorazione durante una fase di emergenza sanitaria globale, scalando solo grazie alla capacità di attrarre investitori, di garantire una minima sicurezza alimentare e l’osservanza delle regole che ne discilinano la filiera ?

Se persino JLL, una delle più importanti società di servizi immobiliari al mondo, accusa Reef di aver pagato, o ignorato, solo parzialmente le fatture a partire da ottobre del 2021, lasciando la società tecnologica con un saldo scaduto di oltre 3,5 milioni di dollari, c’è davvero una sostenibilità finanziaria per questi modelli di business se persino producendo il cibo all’interno di container, con personale non qualificato, non si raggiunge un break even point ?

Vero, non vi sono i costi fissi della parte immobiliare, fisica, il cosidetto ‘brick&mortar’ ma le strutture temporanee hanno dei grossi limiti capacitivi e manutentivi.

Il CEO di Reef, Ari Ojalvo, ha recentemente dichiarato in una nota allo staff che la startup sposterà la sua attenzione dalla crescita alla “redditività e produttività”. Ciò significa licenziare il personale e ritardare i bonus dei dipendenti. E prendere coscienza, che una maratona non la si vince partendo in sprint.

E’ vero, gli ultimi 2 anni e mezzo hanno cambiato il mondo, e se guardiamo a Marzo 2020 è come se guardassimo ad un passato remoto, poco meno che preistorico. Non è solo la tecnologia ad essersi evoluta radicalmente; sono i consumatori ed i lavoratori ad aver fatto delle scelte precise.

I primi, hanno trovato nella comodità di una scelta veloce, istantanea un modello di business che rispondeva alle loro esigenze, che siano contestualizzate ad una contingenza specifica o che siano destinate a diventare parti del quotidiano questo forse al momento non è dato saperlo con certezza.

I secondi hanno capito che fino a due anni fa hanno barattato parte della vita privata con il lavoro, molto spesso non adeguatamente retribuito e non incentivante, soprattutto nel settore dell’hospitality e della ristorazione, scegliendo altre professioni e diventando a loro volta consumatori consapevoli.

Spesso gli operatori della ristorazione tendono ad elaborare una visione di medio periodo, a volte settimanale.

Ancora oggi prevedono un totale reintegro della clientela tradizionale con la percezione del termine della situazione di emergenza sanitaria: con ciò dimostrando di non aver compreso che il cliente su cui investire e da attrarre, non è il millenial, abituato a vivere un’esperienza sensoriale completa legata alla ristorazione. Il futuro sono le generazioni, catalogate come genZ e genY, costrette in casa durante il loro processo evolutivo dalle restrizioni sanitarie e che hanno trovato nel #quickdelivery e nella relazione digitale una comfort zone a loro congeniale. Tutelante.

Clienti, che diventano quindi utenti, critici verso una relazione da loro percepita come ‘farraginosa’ nel processo di acquisizione e di fruizione di beni, sia di largo consumo ché alimentari e he vede nella ristorazione tradizionale uno strenuo baluardo di ciò.

Le ghost kitchen sono perdenti ? No, sono il futuro ed aumenteranno la presa a tenaglia sul mercato, stravolgendo le abitudini alimentari di tutti, quando diventarenno ”imprese” e non realtà virtuali.

 

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