Viaggia di bocca in bocca, malgrado recenti annunci di nuovi fundraising e sviluppo sui mercati stranieri: una nota startup italiana ”foodtech” sta salutando i propri clienti e partner con un addio, senza possibilità di ritorno.
Nata poco prima della pandemia, nel 2019, e catapultata alla ribalta nazionale grazie ad un modello di business intelligente ed alla ottima capacità relazionale dei soci, uno in particolare, abile a raccogliere intorno a se SGR ed investitori di livello. Una raccolta inferiore ai 20 milioni di Euro alla data attuale, ed ambiziosi proclami di raggiungimento di questa soglia nel 2024.
Convegni, pitch, interviste sui giornali. Applausi, e scene di giubilo che neanche la scena di nudo di Accorsi nel film ”Ovunque sei” ha scatenato.
Tutto bello, a parole.
E’ cosi difficile innovare il settore della ristorazione in Italia, o come nel caso della startup in oggetto l’organizzazione e digitalizzazione della filiera alimentare, che dovrebbe avere in essa la vetrina principale per una valorizzazione delle tipicità della nostra penisola, sono ancora dinamiche inesprimibili e non industrializzabili ?
Interessante lo spaccato che TheFork Italia disegna con l’ultimo report del suo osservatorio: ”..nel primo trimestre del 2023, rispetto allo stesso periodo del 2022, sono state registrate 2.997 nuove iscrizioni di imprese nel settore della ristorazione, per un totale di 4.787 ristoranti con somministrazione nati da ottobre 2022 ad oggi, a fronte di 9.000 cessazioni. Nello specifico, le regioni che hanno registrato il maggior numero di imprese con servizio al tavolo nuove nate da ottobre 2022 sono il Lazio (821), la Lombardia (620) e la Toscana (422). Per quanto riguarda la tipologia di locali, tra le nuove aperture prevalgono i ristoranti di cucina italiana in tutte le regioni della penisola, con una media del 62%, mentre la cucina asiatica si aggiudica il secondo posto soprattutto nelle regioni del nord e del centro (15%). Sul terzo gradino del podio si collocano le pizzerie (10%), seguite da ristoranti a base di carne/pesce (7%) e ristoranti con cucina internazionale (greca, francese, messicana, etc., 6%).”.
Intrigante il passaggio che recita ” aperture di 4.787 ristoranti con somministrazione nati da ottobre 2022 ad oggi, a fronte di 9.000 cessazioni”.
Period.
Ha quindi senso pompare economicamente, startup con idee pur brillanti ma che possono crescere ed alimentarsi solo in un contesto di espansione dell’industria di riferimento, in un mondo sempre più dipendente e connesso ai dati che disdegnano scenari ed andamenti di segno diametralmente opposto ?
Sappiamo cosa mangiano i consumatori, dove, quante volte, la tendenza del mercato nelle diverse fasi: calante e nascente. Oltre a leggerli gli analisti dei quotidiani economici, i junior nella EY di turno, sui dati ci pone attenzione anche l’operatore del settore ed occasionalmente almeno qualche investitore ?
Quale metriche usano Fondi e Angel investorsper definire i propri obiettivi e le rese degli investimenti che, nel food appaiono sempre meno convenienti ?
La pandemia ha disegnato una ristorazione digitaleche non esiste; imprenditori che vedono se stessi come una scintillante vetrina su via Montenapoleone ma in realtà sono sempre più simili ad una pagina su Temu.
A partire da Marzo 2020, data di avvio dell’emergenza sanitaria, non si trovava più uno sviluppatore IT a meno di non pagarlo quanto un premio Nobel, tutti impegnati a disegnare menù digitali per la ristorazione, sistemi di ordine remoto o integrazioni per la gestioni di ordini multipiattaforma in grado di connettere i diversi operatori del #fooddelivery verso un unico terminale per il ristoratore. Si propagò così Deliverect (nata in Belgio, ndr) oggi monopolista in Italia, mentre altri hanno visto la luce del sole quanto basta per bruciarsi.
Innovare senza considerare il contesto sociale, economico, infrastrutturale all’interno di cui si vuole applicare il proprio ingegno è un opera ludica fine a se stessa, con un altra probabilità di successo per le generazioni future che ne godranno della semina prematura ma impraticabile nel contesto attuale.
Solo 8 mesi fa UberEats ha comunicato l’abbandono (in fretta e furia) del mercato italiano dopo aver investito pesantemente per acquisire 60 città e villaggi sul nostro territorio, dismettendo 4 mila lavoratori tra dipendenti e personale addetto alle consegne del cibo; si parla di un operatore leader mondiale con un bagaglio economico, tecnologico e di know how con pochi rivali. Se consideriamo che Il fatturato annuo di Uber Technologies per il 2023 è stato di 37,281 miliardi di dollari, segnando un aumento del 16,95% rispetto al 2022 che riportava un consolidato pari a 31,877 miliardi di dollari. Va considerato che la società ha registrato un utile operativo di 1,1 miliardi di dollari nel 2023, rispetto a una perdita di 1,8 miliardi di dollari nel 2022.8 febbraio 2024.
Quindi #Uber (gruppo) cresce ovunque ed abbandona l’Italia per impossibilità a disegnare un pareggio di bilancio, non una chiusura positiva.
Il mercato italiano si conferma uno dei più ostici da innovare per il comparto che, paradossalmente, ci vede come icona globale: la ristorazione ed il foodservice. La scarsa longevità di molte iniziative imprenditoriali, connesse o dedicate a questo settore marca sempre più la linea che distacca gli operatori dagli investitori. Gli uni incapaci di un passaggio generazionale interno alla creatura che hanno partorito: un visionario raramente è anche un ottimo manager, ma spesso è incapace di ammetterlo.
Gli altri poco avvezzi a forzare la mano alle aziende in cui investono con l’inserimento di competenze esterne in grado di rafforzarne la consistenza e la competitività globale.
Buon lavoro
Il retail come lavoro, oggi, nato da una passione che arriva da lontano. Una drogheria della vecchia Milano, dagli alti scaffali in legno ed una coppia di anziani gestori che di ogni cliente conoscevano il nome, il cognome e da quanti giorni non li visitavano.
Un bambino che passava ore come ospite tra i profumi di cioccolato in blocchi immersi in imponenti barattoli di vetro e le confezioni in esposizione di talco Roberts.
Una campanella in ottone ed un avviso sonoro ad ogni ingresso che ricordavano di una opportunità da cogliere ed una pedana retrobanco in legno da calpestare.
In fondo nulla si estingue, cambiano solo i materiali …
Oggi mi occupo di consulenza e sviluppo format per diversi operatori retail (con una specializzazione sul Food Retail) e Real Estate Commerciale. Rivolgo i miei servizi ad aziende e manager che vogliano sviluppare la propria rete in Italia e sui mercati esteri, con la puntigliosità da chi ha maturato una esperienza importante in ambito industriale: dove la programmazione è il fulcro su cui basare la crescita di un progetto e l’attenzione ai dettagli non è un accessorio da banco.
Da ormai diversi promuovo l’ibridazione tra fisico e digitale, sia in ambito progettuale ed architettonico che nella proposta di avvicinamento ed interazione con gli utenti ed appassionati dei brand.