Sembra facile… [fare un buon caffé]
E’ il 1953 quando Paul Campani, il celebre fumettista scomparso nel 1991, insieme all’agenzia pubblicitaria Orsini di Novara, presentarono alla famiglia Bialetti l’omino con i baffi ed il pay off che accompagnò per anni il Carosello della celebre macchinetta per il caffè.
Dalla nascita dell’azienda, nel 1933, molto è cambiato nel panorama socio economico italiano, ma non l’abitudine a bere almeno una tazzina di caffè al giorno. E’ diverso però il modo in cui lo si prepara, ed in questi anni la storica azienda nata in provincia di Verbania, è passata di mano in mano senza che nessuno dei diversi proprietari trovasse la chiave del rilancio di un prodotto attualizzato alle tecnologie ed abitudini odierne.
Perchè il brand c’era ed era forte.
In campo finanziario i risultati consolidati al 30 giugno 2018 sono disastrosi per la società che vive un momento particolarmente drammatico. La perdita è consistente, oltre 15 milioni di euro, in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente pari a 1,6 milioni e Piazza Affari segna una continua sofferenza del titolo.
Sono diminuiti i ricavi, passati dai 76,6 milioni di euro al 30 giugno 2017 ai 67,3 milioni dei primi sei mesi dell’anno in corso: un significativo calo di circa il 12%.
Il gruppo italiano, può contare su una liquidità di 520mila euro, mentre l’indebitamento aziendale ammonta a circa 40 milioni di euro.
Il comunicato dell’azienda spiega le cause ne:
“…la generale contrazione dei consumi, che si è registrata sul mercato interno ed estero”.
“Ma a incidere sui risultati anche la situazione di tensione finanziaria che ha determinato ritardi nell’approvvigionamento, nella produzione e nelle consegne di prodotti destinati alla vendita sia nel canale retail che nel canale tradizionale, lasciando inevasi significativi quantitativi di ordini di vendita già acquisiti in quest’ultimo canale”.
Bialetti ha comunicato nei giorni scorsi al Mercato di un accordo con vincolante con Och-Ziff Capital Investments, disposto a investire a favore del gruppo circa 40 milioni di euro cosi composti:
– un apporto al patrimonio netto della società di 5 milioni tramite la partecipazione a un aumento di capitale e
– la sottoscrizione di distinti prestiti obbligazionari non convertibili per 35 milioni di euro, nel contesto di un processo di ristrutturazione dell’indebitamento con le banche creditrici.
A investimento concluso, Och-Ziff avrà una quota nel capitale di Bialetti pari al 25%.
Ma cambierà davvero qualcosa per l’azienda riconosciuta nel mondo per via dell’iconica moka e nulla più ?
Sono 15 anni che la tecnologia ha rivoluzionato l’approccio alla preparazione del caffè (che non è più solo Espresso) ed ancora pensiamo al 65enne omino con i baffi stampato sul corpo in alluminio di una macchinetta per caffé da porre sul fornello a gas, come l’unico fattore riconoscibile di una proposta commerciale.
Dovremmo essere immersi, in Italia almeno, in una quotidianità fatta di capsule per il caffè marcate Bialetti da inserire in una macchina per il caffè domestica, a controllo elettronico, marcata Bialetti.
C’è un millenial che sappia come si svita la testa di una moka dal serbatoio ed abbia la minima idea di come proseguire nella preparazione di quello che per Nino Manfredi era un rito quasi religioso a cui applicare pochi semplici segreti, per la riuscita di un caffè perfetto ?
Doveva, l’innovazione, essere il perno della crescita e del consolidamento di un brand italiano conosciuto e copiato in tutto il mondo. Invece c’è stato il passaggio di mano del capitale sociale dell’azienda, da un gruppo ad un altro, senza che in tutto questo l’ingegno originario di Alfonso Bialetti trovasse in altri nuova linfa.
L’apertura di graziosi monomarca Bialetti Store (molto simili ad un tradizionale negozio di casalinghi) nel sogno di una diffusione retail alternativa svincolata dalla distribuzione tradizionale, ormai refrattaria ad un prodotto obsoleto, senza un tangibile piano industriale di rilancio sono serviti solo a procrastinare la dichiarazione di cessazione in vita di un idea di business gocciolante come il manico in bachelite della caffettiera lasciato troppo vicino alla fiamma.
Il retail come lavoro, oggi, nato da una passione che arriva da lontano. Una drogheria della vecchia Milano, dagli alti scaffali in legno ed una coppia di anziani gestori che di ogni cliente conoscevano il nome, il cognome e da quanti giorni non li visitavano.
Un bambino che passava ore come ospite tra i profumi di cioccolato in blocchi immersi in imponenti barattoli di vetro e le confezioni in esposizione di talco Roberts.
Una campanella in ottone ed un avviso sonoro ad ogni ingresso che ricordavano di una opportunità da cogliere ed una pedana retrobanco in legno da calpestare.
In fondo nulla si estingue, cambiano solo i materiali …
Oggi mi occupo di consulenza e sviluppo format per diversi operatori retail (con una specializzazione sul Food Retail) e Real Estate Commerciale. Rivolgo i miei servizi ad aziende e manager che vogliano sviluppare la propria rete in Italia e sui mercati esteri, con la puntigliosità da chi ha maturato una esperienza importante in ambito industriale: dove la programmazione è il fulcro su cui basare la crescita di un progetto e l’attenzione ai dettagli non è un accessorio da banco.
Da ormai diversi promuovo l’ibridazione tra fisico e digitale, sia in ambito progettuale ed architettonico che nella proposta di avvicinamento ed interazione con gli utenti ed appassionati dei brand.