Foodservice community

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Il nuovo retail fisico sarà una community

Sarà la creazione di una comunità all’interno dei punti vendita fisici quali esempio ristoranti, caffetterie, ma anche negozi non necessariamente legati al food, la soluzione in grado di fornire un’esperienza diversa al consumatore? 
Nel momento stesso in cui il food delivery sembra aver conquistato sempre più spazio all’interno delle abitudini dei consumatori italiani, e non solo di quelli nativi digitali, come dovrà trasformarsi il foodservice tradizionale per porsi non come competitor, ma come alter ego a queste nuove esperienze di acquisto?
Sarà quindi aprendo i propri spazi, creando una vera e propria community che vada a coinvolgere il consumatore, che con questa nuova formula non sarà più solo un acquirente ma diventerà un utente a tutti gli effetti, la soluzione in grado di trasmettere un’esperienza non limitata a legare il palato e la vista, ma ambiziosa di ampliare l’esperienza sensoriale laddove la consegna a domicilio ed un’applicazione digitale difficilmente riusciranno mai ad arrivare?
L’errore più comune di molti operatori è ancora oggi quello di considerare l’e-commerce e le piattaforme di servizio digitale un competitor della propria impresa. Questa impostazione di base, questa postura, è probabilmente errata e maturata nel momento stesso in cui il brand non si è attrezzato per essere realmente attivo e organizzato per operare in entrambe le modalità: fisico e online. 
Se davvero esiste la multicanalità distributiva, e di questo continuo a non essere convinto perché ritengo che il canale a tutti gli effetti, in questo settore, sia ancora esclusivamente uno: brand verso consumatore, ecco che si richiede quindi alle aziende operanti nel retail uno sforzo non solo concettuale ma soprattutto culturale di completa trasformazione rispetto agli attuali modelli di business che fanno riferimento inevitabilmente a tradizioni centenarie. La vetrina, la porta d’ingresso, un bancone dietro cui sostano le persone dedicate al servizio, una cassa, degli scaffali e/o dei tavoli e delle sedie. 
Per quanto possa essersi evoluto il design e la progettazione degli ambienti si sia connessa allo studio dei flussi, bisogna ammettere che la differenza tra un ristorante nato negli anni ’30 in Italia, una bottega storica, rispetto ad uno attuale porta in sé ben poche differenze, eccezion fatta per quelle legate all’aspetto architettonico e di una maggiore sofisticazione dell’offerta.
Le meccaniche, le dinamiche interne che legano rapporto fra l’ospite ed il fornitore, in questo caso l’oste o il brand, sono mutate davvero di poco.
Sarà forse questa una delle ragioni che hanno spinto molti consumatori verso soluzioni e scelte che, se pur assai impersonali e lontane da una qualsiasi esperienza emozionale, sono però innegabilmente innovative e disruptive?

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