Grom non è il Gelato come una volta , come un bravissimo copy ha affermato tempo fa: è un prodotto dei tempi moderni, di un retail che punta tutto sull’esperienzialità e sull’artificio che dialoga con essa.
Trovo non sia semplice da fuori fare una analisi che sia distaccata da un coinvolgimento emotivo che inevitabilmente affligge tutti noi, sia professionisti del retail che semplici degustatori di uno dei prodotti iconici della gastronomia italiana, che hanno visto in Grom la possibilità di un veicolo efficace della tradizione gelatiera tricolore.
Laddove, prima di loro, erano riusciti e continuano a crescere altri italiani visionari e pragmatici, quali Cristiano Sereni e Paolo Benassi che con Amorino hanno fatto un vero e stabile sviluppo.
Lasciando l’Italia e stabilendosi in Francia.
C’è da premettere che ‘’Gelato Artigianale’’ e catena sono due definizioni in antitesi: giocoforza non puoi chiamare ‘’Gelato come una volta’’ un prodotto semi industriale e realizzato partendo da semilavorati. Regge all’inizio ma in una società liquida dove le informazioni corrono più veloci delle merci, il cliente ‘’sgamato’’ ti assegna il giusto valore.
Malgrado lo storytelling, malgrado la luminosità delle vetrine ed i colori pastello delle pareti.
Se fai sviluppo, che siano aperture dirette o che sia franchising, o diventi un industria oppure alla terza apertura hai già la lingua ed fuori ed il tuo mastro gelatiere passa alle ‘’robe’’ pesanti.
Grom è stata una bellissima operazione di marketing, quanto autentica sia stata la genesi del marchio lo sanno forse solo in tre; ma va riconosciuto il merito di aver riportato l’attenzione in Italia verso un prodotto tanto amato quanto bistrattato dagli stessi operatori. Ma se devo mangiare un gelato ‘’come una volta’’ mi faccio 30 kilometri e da Monza vado a San Donato Milanese da Gelateria San Giuda che lavora ancora il prodotto partendo dalla materia prima, con un laboratorio a vista su strada ( https://www.facebook.com/gelateriasangiuda/ ) ed adoro Anna Massari proprio per non essere scesa a compromessi pur avendo ricevuto offerte per diventare una catena.
Poi Grom… Oggi c’è un anima asettica, finanziaria, che ne gestisce ogni singola componente. Impermeabile ai sentimenti e decide di chiudere quello che fu il primo punto vendita.
E’ un brand, come lo sono tanti nel portafoglio Unilever; Grom è scomparsa quando non ha definito un business model sostenibile.
Per quello c’è Amorino , o romanticamente San Giuda.
Il retail come lavoro, oggi, nato da una passione che arriva da lontano. Una drogheria della vecchia Milano, dagli alti scaffali in legno ed una coppia di anziani gestori che di ogni cliente conoscevano il nome, il cognome e da quanti giorni non li visitavano.
Un bambino che passava ore come ospite tra i profumi di cioccolato in blocchi immersi in imponenti barattoli di vetro e le confezioni in esposizione di talco Roberts.
Una campanella in ottone ed un avviso sonoro ad ogni ingresso che ricordavano di una opportunità da cogliere ed una pedana retrobanco in legno da calpestare.
In fondo nulla si estingue, cambiano solo i materiali …
Oggi mi occupo di consulenza e sviluppo format per diversi operatori retail (con una specializzazione sul Food Retail) e Real Estate Commerciale. Rivolgo i miei servizi ad aziende e manager che vogliano sviluppare la propria rete in Italia e sui mercati esteri, con la puntigliosità da chi ha maturato una esperienza importante in ambito industriale: dove la programmazione è il fulcro su cui basare la crescita di un progetto e l’attenzione ai dettagli non è un accessorio da banco.
Da ormai diversi promuovo l’ibridazione tra fisico e digitale, sia in ambito progettuale ed architettonico che nella proposta di avvicinamento ed interazione con gli utenti ed appassionati dei brand.