Non mi ha cambiato aver vissuto in zone del mondo ostiche ed impervie ambientalmente, non mi hanno cambiato gli atterraggi di emergenza con l’hostess che si fa il segno della croce e l’autobomba esplosa sull’uscio della porta in India; non mi hanno cambiato il tradimento dei colleghi e degli amici.
Al termine di ogni viaggio, incubo o sogno che fosse, c’era sempre la porta di una locanda da aprire.
‘’Oste, versami l’acqua ! Temperatura ambiente, mi raccomando!’’.
Non mi ha cambiato l’essere astemio e vegetariano: sono sempre un gran rompicoglioni.
Ma nelle enoteche ci vado ancora; se non è più per il Cabernet o per il Verduzzo, o per scoprire una nuova cantina cilena è, questa volta, per l’esperienza che la storia dietro ogni bottiglia a vista mi trasmette. E’ per sedermi, reclinando la testa leggermente all’indietro, con gli occhi chiusi, ed assorbire le tradizioni che sento veleggiare evanescenti da ogni collo di vetro colorato, da ogni etichetta ingiallita o cullate dalla sinuosa ninna nanna bisbigliata da un calice a cullare il tannino del vicino avventore.
E svegliarmi di colpo, per lo schiaffo secco sulla mia coscia da parte del solito rumoroso amico !
‘’ Hey, ma possibile che arrivi sempre ore prima ad ogni appuntamento !!??’’
Sistematicamente io sorrido, prima di guardarlo pensando a quanto più si sta lontani da casa e più la prima cosa che ti manca sono gli amici idioti. Ed il loro abbraccio.
Se qualcuno mi chiede cos’è per me andare al ristorante, io ho sempre e solo una risposta: è sentirmi a casa mia, sulla sedia di qualcun altro.
Tutto questo non svanirà, governato dalla paura di un contagio negativo e di una sua recidiva.
Hanno detto che dovremo riprogettare gli spazi commerciali, per evitare che i clienti possano venire in contatto tra di loro. Sfiorarsi, toccarsi.
Che al primo appuntamento le persone dovranno sedersi ad un metro di distanza l’uno dall’altro. Che gli amici non si abbracceranno più incontrandosi e si saluteranno con un ojigi, l’inchino giapponese, simbolo ancestrale delle distanze tra le persone, che nella cultura che gli è propria è riservato a persone che si incontrano senza essersi conosciute in precedenza.
Vincerà il ‘’Coronavirus’’ anche qualora lo sconfiggessimo ?
Abbandoneremo la nostra socialità per una vita asettica ? Abbandoneremo la nostra sedia a casa di qualcun altro per sempre?
Questi sono alcuni dei quesiti che ci si pone cercando di riprogettare il futuro del retail, della ristorazione e del foodservice.
Cosa saremo domani ?
Il retail come lavoro, oggi, nato da una passione che arriva da lontano. Una drogheria della vecchia Milano, dagli alti scaffali in legno ed una coppia di anziani gestori che di ogni cliente conoscevano il nome, il cognome e da quanti giorni non li visitavano.
Un bambino che passava ore come ospite tra i profumi di cioccolato in blocchi immersi in imponenti barattoli di vetro e le confezioni in esposizione di talco Roberts.
Una campanella in ottone ed un avviso sonoro ad ogni ingresso che ricordavano di una opportunità da cogliere ed una pedana retrobanco in legno da calpestare.
In fondo nulla si estingue, cambiano solo i materiali …
Oggi mi occupo di consulenza e sviluppo format per diversi operatori retail (con una specializzazione sul Food Retail) e Real Estate Commerciale. Rivolgo i miei servizi ad aziende e manager che vogliano sviluppare la propria rete in Italia e sui mercati esteri, con la puntigliosità da chi ha maturato una esperienza importante in ambito industriale: dove la programmazione è il fulcro su cui basare la crescita di un progetto e l’attenzione ai dettagli non è un accessorio da banco.
Da ormai diversi promuovo l’ibridazione tra fisico e digitale, sia in ambito progettuale ed architettonico che nella proposta di avvicinamento ed interazione con gli utenti ed appassionati dei brand.